Il Grande Progetto Pompei (varato nel 2015 e coordinato dal prof. Massimo Osanna) si sta rivelando sempre più come un grande laboratorio multidisciplinare di gestione della complessità. Si tratta di una occasione (oggi ancora rara) per definire il ruolo del progetto in relazione all’archeologia, nonché il ruolo del nuovo nell’antico. La tensione verso il progetto nell’archeologia implica muoversi su due fronti: quello della lettura critica dei resti archeologici e quello della nuova costruzione nell’antico. Appropriarsi del rudere è un itinerario complesso di conoscenza che ha come obiettivo un progetto coerente con gli strati, con le sequenze temporali, rendendo visibili anche gli interventi di restauro svolti in passato. Il progetto diventa quindi una sorta di racconto che fa intravvedere l’intero senza ricostruirlo, evidenziando le virtualità del rudere così come è giunto fino a noi. Si tratta di un metodo particolare, anche privilegiato, un’opportunità per interrogare i luoghi, conoscerli, cogliendone le misure, le proporzioni, il cammino, il passo, il ritmo del paesaggio, cogliendone anche le interruzioni, le incoerenze, i cambi di orientazione, i vuoti. I progetti qui presentati sono il risultato di un lavoro di ricerca multidisciplinare (ancora in corso) svolto grazie ad un Protocollo di collaborazione scientifica tra il Parco Archeologico di Pompei e il Politecnico di Milano (Responsabile e coordinatore scientifico Luisa Ferro).

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Nella seconda metà del XIX secolo, sotto la spinta della rivoluzione industriale e del conseguente incremento della popolazione le principali città europee, compresa Milano, dovettero affrontare il problema di regolare in sicurezza lo sviluppo urbano, risolvendo i problemi igienico sanitari già critici nelle città preesistenti spesso afflitte da gravi epidemie.

Uno dei principali provvedimenti universalmente utilizzati fu la realizzazione di moderne reti di acquedotto e fognatura.
I due sistemi, concepiti dopo lunghi e approfonditi studi per adeguarli alle caratteristiche peculiari del territorio milanese, si svilupparono sulla base di pianificazioni contestuali all’estensione della città perfezionandosi ed evolvendosi per rispondere alle nuove esigenze del contesto urbano e ambientale, tanto da rappresentare ancora oggi un modello di funzionalità ed efficienza apprezzato a livello internazionale.

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La pianura padana si presenta in quasi tutte le stagioni dell’anno come uno dei territori italiani ed europei più ricchi d’acqua sia superficiale che profonda, questo fatto ne ha sempre caratterizzato la fertilità e la ricchezza. L’uomo poi attraverso i secoli ha contribuito saggiamente a regimentare e sfruttare questo patrimonio con canalizzazioni ed opere idrauliche accrescendo ancora di più tale meraviglioso patrimonio e rendendo ricco e fortunato questo territorio. Acque per irrigare, da bere, per navigare sono soltanto i principali più noti e conosciuti utilizzi dell’acqua, ma ad essi si affiancano utilizzi meno vitali ma pur sempre utilissimi per il progredire della civiltà e del benessere: difesa della città, forza motrice, usi ludici, fonti sacre. La breve presentazione ben lungi dal voler essere completamente esaustivastante la vastità dell’argomento vuole tuttavia ripercorrere con una velocissima carrellata tutti questi usi primari e secondari svolti sul nostro territorio fin dai tempi più lontani ed evidenziare quanta parte tale risorsa ha avuto nella nostra storia. Il racconto vuole così sottolineare e promuovere la tutela di questa vitale ed insostituibile risorsa che, a diversità del passato e meno saggiamente, nell’ultimo secolo è stata al contrario offesa e danneggiata forse irrimediabilmente.

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